lunedì 18 maggio 2009

Cena al Collegigliato di Villa Cappugi - 12 maggio 2018

12 maggio 2018 - Trentottesima cena

Ristorante Collegigliato presso Villa Cappugi.

Ci ritroviamo, per il cinquantenario dell’esame di maturità del Sessantotto, a cena al ristorante “Collegigliato” in quel di Villa Cappugi, in quattordici convenuti, record dal 2007 quando si raggiunse il picco di sedici. Sui sedici attuali titolari mancano solamente i recidivi Pierino e PPE.  E’presente anche un manipolo di valorosi reduci della 5aA in numero di dieci, aggregatisi al traino vincente della sezione alfa.
Purtroppo quegli ex compagni e camerati risultano ormai irriconoscibili  sia nei nomi che nei volti, infatti io, per fare un esempio, venderei volentieri le mie memorie del Sessantotto al miglior offerente, ma non mi ricordo un tubo.
Attorno al mitico “buffet”, offerto dall’Organizzazione,  costituito da tre ciotoline di patatine Pai e noccioline tostate, e popcorn per tutti, annaffiati da prosecchino diacciato e aranciata calda, si dispiega la fraternizzazione fra ex compagni e camerati, facendo finta di ricordare gli studi leggiadri e le sudate carte.
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Manca solo purtroppo il leggendario compagno Fello, seguace appassionato di quel filosofo greco-tedesco di cui non ricordo il nome, ma il cui motto era “Si vis pacem para bellum, si vis bellum para culum”. Il mitico Fello, sempre in rivolta, in quel Sessantotto, contro tutto ciò che sapeva di accademico, che venne poi denunciato per furto di panini e per aver eseguito con essi pratiche innaturali.

Andiamo  quindi a disporci per la cena, salendo lieti e pensosi, fino al fienile del primo piano e sistemandoci in due tavoli rigorosamente distinti per sezione.

Lo chef pluristellato del ristorante, raccomandatoci dal buon neo cavalier Maurice, si rivela subito assai autoritario imponendoci uno stringato menù a prezzo fisso scontato, ma senza alcuna possibilità di deroghe.

Anche il sommelier, londinese purosangue, circolante fra i tavoli in Aston Martin, ci impone, dispotico, un vino rosso, sia pure di gran classe, il celeberrimo Marronaia, selezionato, nel fondo Le Nespole, dal principe Metello Incisa della Gherardesca, che raccoglie solo acini numerati e spremuti direttamente dalla moglie Ugucciona, a piedi scalzi, in piccoli cesti di palissandro intarsiato. Inconfondibile il retrogusto di smalto per unghie, che anche ieri i palati più fini potevano avvertire, piacevolissimo e morbido.

Col cameriere, peraltro gentilissimo, ci sono state invece delle incomprensioni sull’acqua.
– Il cameriere: Acqua minerale?
– Io: Naturale
– Il cameriere: (prendendo nota) Acqua naturale.
– Io: Ho detto minerale
– Il cameriere: Veramente, mi scusi, ma lei ha detto naturale
– Io: Intendevo: "naturale, acqua minerale". Non le sembra naturale che io beva acqua minerale?
– Il cameriere: Anche il suo amico acqua minerale?
– Cesare: Naturale
– Il cameriere: (prendendo nota) Minerale.
– Cesare: Ho detto naturale
– Il cameriere: Credevo che intendesse come il suo amico: "naturale, acqua minerale". Invece intende: "naturale, acqua naturale".
– Il cameriere: (angosciato) Signori! Ho famiglia. Un figlio.
– Io: (commosso) Legittimo?
– Il cameriere: Naturale …
– Io: E non può legittimarlo?
– Il cameriere: Perché dovrei legittimarlo, se è già legittimo.
– Io: Ha detto che è un figlio naturale.
– Il cameriere: No. Intendevo: "naturale, è legittimo".
– Io: Va bene, vedo che oggi è un po’confuso. Ci porti un Bourbon doppio.
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Risolti i problemi dell’acqua, si mangia un po’ così e così, con lunghe soste, intervallate da racconti epici, ma a molti sconosciuti o svaniti nelle nebbie dell’oblio, sui fantomatici pesci sega del Portogallo, che feriscono il mio cuore d'un monotono languore.
Poco prima del dessert giunge da Roma, scortato da due corazzieri, il segretario generale del Quirinale che per, conto
del presidente Mattarella insignisce, fra trombar di squillo, un insigne commensale, del cavalierato della Repubblica. Emozione generale e qualche lacrimuccia.
Alla fine ci trasferiamo all’aperto dove dolce e chiara è la notte e senza vento. Le fanciulle in minigonna gridando su la piazzuola in frotta, e qua e là saltando, fanno un lieto romore, e là, finalmente, degustiamo il bicchiere della staffa ed il caffè, mentre già tutta l’aria imbruna e tornan l’ombre giù dai colli e da’ tetti, al biancheggiar della recente luna.
Si raccolgono infine i 25 euri cadauno del conto, invero assai modico, e si provvede al saldo. Ci accomiatiamo infine fra lunghi singhiozzi dei violini di maggio, anzi il chiarir dell’alba.
Purtroppo poi ho dormito malissimo. Infatti riuscire a superare la notte, dopo aver cenato fuori, sta diventando per me sempre più difficile. Stanotte ho avuto la strana sensazione che degli uomini cercassero di irrompere nella mia stanza per farmi uno shampoo. Perché? Mi sembrava di vedere delle ombre vaghe, e alle tre del mattino la canottiera che avevo messo sullo schienale di una sedia assomigliava tremendamente al Kaiser su pattini a rotelle. Quando finalmente mi sono addormentato ho avuto il solito incubo mostruoso di quella marmotta che mi vince a tombola.  Disperazione. 
Eppure, mangiare è un diritto, ma digerire dovrebbe essere un dovere.
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Prossimo anno ripranzo?





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